Una nuova recentissima sentenza dello scorso 29 luglio 2021 della Sezione prima della Corte di Cassazione si sofferma sul delicato tema della validità dei contratti derivati di Interest Rate Swap, ripercorrendo e confermando i precedenti del Supremo Consesso anche delle Sezioni Unite che hanno espresso un chiaro segnale adesivo all’orientamento di quella parte della dottrina e della giurisprudenza di merito che valorizza l’indicazione del mark to market, ovvero dei suoi criteri di calcolo, la esplicitazione dei costi impliciti e la prospettazione dei cd. “scenari probabilistici”, quali elementi essenziali del contratto derivato, rilevanti ai fini della sua validità.
In particolare, come i precedenti richiamati, la sentenza in argomento recepisce l’analitica tesi giurisprudenziale incentrata sulla rilevanza dei contenuti contrattuali ai fini della determinazione dell’oggetto negoziale, così avallando l’orientamento che ne valorizza il corrispondente difetto come ragione di nullità del contratto.
In altri termini, l’indicazione del mark to market, che individua il valore del contratto ad una certa data, nonché l’esplicitazione dei costi impliciti e dei cd. “scenari probabilistici”, finiscono con rappresentare il contenuto di un’obbligazione che sorge con la stipula del contratto concorrendo ad integrarne la determinabilità del suo oggetto.
La “scommessa razionale” meritevole di tutela, cui le Sezioni Unite hanno ricondotto la tipologia di derivato quale lo swap, postula, allora, che, in quest’ultimo, l’alea che comunque lo caratterizza debba essere misurabile “secondo criteri scientificamente riconosciuti e oggettivamente condivisi”: ciò impone che siano esplicitati – e condivisi con l’investitore – i costi impliciti, che determinano uno squilibrio iniziale dell’alea, il mark to market e, soprattutto, i cd. “scenari probabilistici”.
In altri termini, l’omessa esplicitazione di tali elementi si traduce, sostanzialmente, nella mancata formazione di un consenso in ordine agli stessi, e, dunque, nella inconfigurabilità di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’investitore di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto.
Non si tratta, allora, di semplice violazione di obblighi informativi (come tale idonea a determinare solo eventuali responsabilità risarcitorie. Cfr. Cass., SU, n. 26724 del 2007; Cass. n. 8462 del 2014), ma di una carenza che – tenuto conto delle descritte peculiarità caratterizzanti la causa e l’oggetto dello strumento in esame, nonché delle innegabili interazioni tra essi configurabili – investe proprio l’essenza (di una parte) dell’accordo, vale a dire del contratto medesimo (quest’ultimo consistendo, appunto, in un “accordo”. Cfr. artt. 1321 e 1325, n. 1, cod. civ.), così da cagionarne la nullità (il dovere di informazione, invece, è fuori del contratto ed è oggetto di mera obbligazione di una delle parti, sanzionata, come si è già detto, con la responsabilità per i danni, e non con la nullità).
Invero, il mark to market rappresenta, come si è visto, un elemento determinante per la formazione del consenso del cliente: sebbene le modalità di calcolo possano risultare difficilmente comprensibili, specie se la controparte non riveste la qualità di cliente professionale, tale indicazione è comunque suscettibile di determinare il consenso dell’investitore circa la distribuzione dell’alea ed i costi del contratto. Esso, quale sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi sulla base delle condizioni dell’indice di riferimento al momento della sua quantificazione, ovviamente presuppone il richiamo al tasso di interesse di riferimento, ma necessita altresì di essere sviluppato attraverso un conteggio che, mediante il ricorso a differenti formule matematiche, consenta di procedere all’attualizzazione dello sviluppo prognostico del contratto sulla base dello scenario esistente al momento del calcolo del mark to market. Precisato, quindi, che, per definizione, quest’ultimo non può essere pattuito in modo determinato, trattandosi di un valore destinato necessariamente a mutare a seconda del momento del suo calcolo e dello scenario di riferimento di volta in volta esistente, affinché possa sostenersi che esso sia quanto meno determinabile è comunque necessario che sia esplicitata la formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente.
Ciò si rende necessario in quanto detta operazione può essere condotta facendo ricorso a formule matematiche differenti, tutte equivalenti sotto il profilo della loro correttezza scientifica, ma tali da poter portare a risultati anche notevolmente differenti fra di loro.
Se, pertanto, per la determinazione del mark to market si pretendesse di fare richiamo alle sole rilevazioni periodiche del tasso di interesse di riferimento, senza specificare anche il criterio di calcolo da adottarsi per procedere all’attualizzazione del valore prognostico, in realtà non si renderebbe il dato contrattuale effettivamente determinabile, sostanzialmente rimanendo lo stesso unilateralmente quantificabile in termini differenti a seconda della formula matematica di calcolo di volta in volta prescelta dal soggetto interessato. Il valore attribuito tramite mark to market, infine, può essere anche negativo purché l’accordo con il cliente (in cui, come si è già detto, si sostanzia, in via generale, il contratto), al momento della stipulazione del contratto stesso, abbia investito pure la sua (modalità di) concreta determinazione, consentendogli così di comprendere (ed accettare consapevolmente), fin da subito, la specifica alea (razionale) del derivato.
A nulla, peraltro, rileva l’eventuale comunicazione del valore del mark to market in sede di esecuzione del contratto, posto che un siffatto modus procedendi certamente non potrebbe sanare l’assenza di accordo sull’indicato valore (nei puntuali termini di cui si è detto in precedenza) inficiante la fase della stipulazione del contratto. Quell’accordo, infatti, deve investire, in modo specifico, completo e dettagliato, l’indicazione del criterio (matematico) con il quale si addiviene al calcolo del menzionato valore. Conseguentemente, non possono ritenersi conformi al predetto iter, le condotte degli intermediari che si concretizzano nella formulazione generica di criteri di calcolo, ovvero che rimandano alle “quotazioni di mercato”, con il rischio che la valutazione possa essere rimessa alla discrezionalità ed all’arbitrio della parte contrattuale più forte. Affermare, semplicemente, che il mark to market sia determinato in base alle variazioni dei tassi di interesse equivale a concepire un accordo sulla stipulazione del derivato che, alla stregua delle considerazioni tutte finora esposte, si rivelerebbe assolutamente carente del consenso (e, dunque, dell’in sé del contratto) su una parte del suo oggetto: in particolare, quanto al metodo di calcolo utilizzato per determinare il fair value del contratto medesimo. Del resto, il requisito della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione esprime la fondamentale esigenza di concretezza dell’atto contrattuale, avendo le parti la necessità di conoscere l’impegno assunto ovvero i criteri per la sua concreta determinazione, il ché può essere pregiudicato dalla possibilità che la misura della prestazione sia discrezionalmente determinata, benché in presenza di precise condizioni legittimanti, da una soltanto delle parti (cfr. Cass. n. 24790 del 2017).
Ne deriva, pertanto, che l’indicazione del mark to market, compresa l’esplicitazione della formula matematica per la determinazione del calcolo, costituisce elemento essenziale del contratto IRS. La sua omissione, come pure quella dei metodi (matematici) su cui determinare l’aleatorietà del contratto, genera (al pari della carente esplicitazione dei costi impliciti dello stesso od ella prospettazione dei suoi c.d “scenari probabilistici”) l’impossibilità di individuare concretamente (rectius: misurare) l’alea oggetto dell’IRS, così che il corrispondente contratto deve essere sanzionato con la nullità per indeterminabilità dell’oggetto.
Invero, in caso di derivati over the counter, la mancata conoscenza del mark to market e/o degli “scenari probabilistici” assume una consistenza ben maggiore poiché l’intermediario è sempre controparte diretta dell’investitore e condivide con quest’ultimo l’alea del contratto; di talché, non essendo revocabile in dubbio la circostanza che il contratto di swap è caratterizzato da un’alea reciproca e bilaterale a carico dei contraenti, deve considerarsi inconcepibile che la qualità e la quantità delle alee, oggetto del contratto, siano ignote ad uno dei contraenti perché rimaste estranee all’oggetto dell’accordo.