Interessante pronuncia della Corte di Cassazione (Sentenza sezione 3^ civile numero 16907 del 25.06.2019) in tema di Leasing Immobiliare con previsione di due clausole di indicizzazione del canone, una legata al tasso di interesse cosiddetto Libor, nominato in franchi svizzeri ed assunto a 3 mesi; l’altra legata al tasso di cambio tra euro e franco svizzero.
La Corte, respingendo il gravame dell’Istituto ha – di fatto – confermato il pronunciamento del giudice di appello, accogliendo uno dei motivi di impugnazione e ritendo che le clausole contrattuali che venivano ritenute di indicizzazione del canone, erano nulle per indeterminatezza dell’oggetto, in quanto, la prima (legata al tasso cd. Libor) non consentiva di capire come venisse calcolato il tasso di riferimento, e la seconda (legata al cambio euro/franco svizzero), avendo come presupposto di calcolo la prima, derivava la sua indeterminatezza da quella.
La Corte di Cassazione ha ritenuto dunque che, pur essendo queste clausole formalmente qualificate come di adeguamento del canone, di fatto non lo sono, o lo sono solo in modo affatto particolare.
Le variazioni che il tasso Libor o il cambio euro- franco svizzero comportano non incidono sul valore nominale del canone (che rimane quello inizialmente fissato) ma vengono regolate a parte con rimesse in conto o con altri strumenti di pagamento. Inoltre le variazioni del tasso di cambio incidono sul canone come già indicizzato in base al LIBOR.
Da qui lo spunto per il Supremo Consesso per ribadire il concetto di determinatezza e determinabilità del coontratto : “Va premesso che, come ritenuto da questa Corte in diverse occasioni, ciò che importa, onde ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 cod. civ. è che il tasso d’interesse sia desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, anche quando individuato per relationem : in quest’ultimo caso, mediante rinvio a dati che siano conoscibili a priori e siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto. I dati ed il criterio di calcolo devono perciò essere facilmente individuabili in base a quanto previsto dalla clausola contrattuale, mentre non rilevano la difficoltà del calcolo che va fatto per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione (cfr. Cass. 8028/ 2018; Cass. 25205/ 2014; Cass. n. 2765/1992 e n. 7547/92; Cass. 22898/2005, Cass. n. 2317/2007, Cass. n. 17679/2009). Ciò posto va però detto che la conoscibilità delle fonti e, quindi, dei dati necessari per determinare il tasso degli interessi che fungono da criterio, nel caso concreto, va accertata dal giudice di merito, ed il relativo giudizio non è censurabile in Cassazione se congruamente motivato. Nella fattispecie, il CTU aveva rilevato che erano praticabili diversi criteri (formule) per arrivare al risultato del calcolo, e che il ricorso a ciascuno di essi portava a risultati diversi. La circostanza che la differenza di risultato fosse, come eccepisce la ricorrente, minima, è una circostanza di fatto, legata alla contingenza di quel singolo calcolo, e comunque è irrilevante che lo scostamento sia di tanto o di poco, essendo decisivo che comunque ci sia, poiché esso è indice della variabilità del criterio di calcolo dell’interesse, da cui dipende poi l’adeguamento del canone”.
Ancora interessante il profilo affrontato dalla Corte relativo alla derivazione funzionale quale base di invalidazione di clausole volte allo scopo unitario: “la nullità può derivare da un atto all’altro quando i due sono legati da un vincolo funzionale, e quando le parti intendono con tale collegamento realizzare un risultato economico unitario”.
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