Mancata comunicazione della dichiarazione di fallimento da parte del Curatore: quando è ammissibile la domanda di insinuazione ultra tardiva?

FALLIMENTO: va respinta la domanda ultra tardiva di insinuazione al passivo proposta dalla Banca, anche quando manchi la comunicazione ex. art 92 L.F. da parte del curatore, se vi la è prova che l’Istituto di credito ha avuto ricezione del fallimento indipendentemente dall’avviso.

La Suprema Corte di Cassazione (Sez I CIV. n. 7109 del 12.3.2020) torna a pronunciarsi sull’omessa comunicazione ad opera del curatore fallimentare dell’avviso ex art. 92 L.F. e sulla sanatoria per raggiungimento dello scopo mediante prova dell’avvenuta conoscenza del fallimento da parte dei creditori intervenuti.

Come è noto l’art. 92 L.F. impone al curatore di comunicare ai creditori l’apertura del fallimento, onde permettere a costoro di proporre -in tempo utile- domanda di insinuazione al passivo.

Nell’ipotesi in cui il curatore non adempia ai propri doveri, il mancato avviso al creditore del fallito integra gli estremi della causa non imputabile del ritardo della domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 101, co. 4, L.F., sempre che non si provi che il creditore abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla recezione dell’avviso; in quest’ultimo caso il ritardo nella presentazione dell’istanza diviene inescusabile.

Del medesimo parere sono le Sez. semplici della Corte di Cassazione (sent. 12 marzo 2020 n.7109) secondo le quali la prova della conoscenza del fallimento in mancanza dell’avviso a norma dell’art 92 L.F. può ritenersi raggiunta anche mediante semplici presunzioni. Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, un importante istituto di credito depositava una domanda di ammissione al passivo ultra tardiva, adducendo di essere incorso in un ritardo non imputabile in quanto la comunicazione ex art. 92 L.F. era pervenuta ad una diversa società (appartenente al medesimo gruppo societario) che lo aveva rappresentato, in qualità di mandataria, durante il concordato preventivo che aveva preceduto, senza soluzione di continuità, il fallimento della società debitrice. Considerato che la cessazione del mandato non era stata comunicata, che l’istante era un istituto bancario di notevole importanza – il quale, peraltro, aveva preso attivamente parte nella procedura di concordato preventivo tramite la propria mandataria – e che per di più il credito in questione era di notevole entità, il Tribunale aveva ritenuto raggiunta la prova, tramite elementi di natura presuntiva univoci e concordanti, che il creditore avesse avuto notizia del fallimento del debitore, rigettando l’opposizione ex art. 98 L. F.

Proposto ricorso ad opera dell’Istituto di credito in ordine alla presunta violazione degli artt. 92 e 101 L. F., la S.C. ha statuito che: “Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il mancato avviso a un creditore del fallito da parte della curatela fallimentare, che è previsto dalla norma dell’art. 92 legge fall., integra gli estremi della causa non imputabile del ritardo della domanda tardiva, di cui all’art. 101, comma 4, legge fall. Resta tuttavia in ogni caso salva la possibilità per il curatore di provare, ai fini della inammissibilità della domanda medesima, che il creditore abbia avuto notizia aliunde dell’avvenuto fallimento, in via indipendente cioè dal fatto dell’eventuale recezione dell’avviso in questione (cfr. Cass., 19 giugno 2018, n. 16103; Cass., 13 novembre 2015, n. 23302; Cass., 10 settembre 2013, n. 20686)”. In altri termini, il sistema vigente non pone in capo ai creditori uno specifico onere di informarsi sul fatto che il proprio debitore sia eventualmente fallito: al curatore affidando appunto un compito di avviso exart. 92 legge fall. – in via di integrazione della pubblicità data dall’annotazione della relativa sentenza nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 17, comma 2, legge fall. -, rispetto ai più diretti interessati alla procedura, quali sono i creditori. Peculiare resta, peraltro, il caso in cui un creditore sia comunque venuto a conoscenza dell’aperto fallimento. Una simile evenienza indica in modo manifesto che questo creditore ben avrebbe in ogni caso potuto presentare la propria domanda di insinuazione. Per la rilevazione di principio, per cui la normativa sulla insinuazione tardiva intende propriamente apprestare una «giusta tutela soltanto al creditore effettivamente incolpevole» è da richiamare già la pronuncia di Cass., 7 settembre 1979, n. 4735.

A parere delle Sez. semplici, il giudice di merito, con motivazione congrua e del tutto logica, aveva accertato tramite l’utilizzo di una nutrita serie di circostanze presuntive la conoscenza dell’avvenuto fallimento, motivo per cui la domanda di insinuazione al passivo andava respinta.

Tra l’altro, concludono gli Ermellini, neppure “l’eventuale presenza di decine di migliaia di situazioni di sofferenza nel complesso della clientela debitoria della banca (…) esonera il creditore bancario dal dovere di controllo delle situazioni debitorie, salva la prova dell’effettiva difficoltà di monitoraggio, fornita mediante l’indicazione di dati concernenti l’area operativa di appartenenza del credito ovvero la sussistenza di attività ispettive dell’Autorità di Vigilanza”.

Leggi la Sentenza della Suprema Corte di Cassazione I sez. Civ. n.7109 del 12.3.20

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